Tempo fa lessi un interessante articolo di Giuseppe Galasso sul Corriere della Sera intitolato “Perché il Sud normanno non è diventato nazione come l’Inghilterra” nel quale si ponevano in relazione l’esperienza inglese e quella italiana intorno alla costituzione del rispettivo stato normanno. Passando in rassegna le posizioni di Benedetto Croce e di Albert Frederick Pollard, si riscontrava una sostanziale adesione a una linea storiografica tendente alla rivendicazione di uno spazio autonomo della storia nazionale dei due popoli, inglese e italiano appunto, rispetto alla dominazione normanna la quale, seppur con qualche differenza, pareva essere stata “storia di un governo straniero”. Per il meridione, secondo lo storico napoletano, quest’aspetto assunse un’ulteriore specificità giacché a differenza della controparte inglese in cui a un certo punto il ceto baronale assunse un ruolo di mediatore tra interessi personali e collettivi di un popolo e di uno stato, saldandosi alla monarchia e piegandola a uso della nazione, nell’Italia del sud ciò non avvenne poiché la feudalità si pose sempre in maniera antagonistica allo Stato rivendicando spazi di autonomia e d’individualismo. Tale riflessione, ripresa ma non del tutto condivisa dal Galasso, è stata utilizzata dall’autore per far luce sulle analogie e sulle differenze nella strutturazione delle due monarchie che, in sostanza, avrebbero in comune la dinamica della conquista ossia la netta distinzione tra il momento della violenza e il momento politico. Se il primo coincide con la fase di espansione che comunque si realizzò in modo diametralmente opposto, giacché Guglielmo il conquistatore ottenne l’Inghilterra in pochi anni per mezzo di battaglie campali risolutive mentre la conquista dell’Italia meridionale fu l’esito di un processo più lento ed eterogeneo poiché l’azione militare non fu organizzata e guidata da un solo uomo ma fu condotta da una serie di attori politici spesso in contrasto tra di loro, il secondo si lega alla riorganizzazione territoriale avvenuta per mezzo dell’introduzione del regime feudale.
Sezione dell'Arazzo di Bayeux che descrive con le immagini la conquista normanna dell'Inghilterra |
Allo stesso tempo le differenze paiono essere evidenti, prima fra tutte la totale divergenza della situazione socio-culturale entro cui tali azioni di conquista si mossero: da un lato un’Inghilterra ancora socialmente acerba e arretrata in cui la nobiltà normanna poté svolgere il ruolo di egemone rivendicando una superiorità intellettuale e, in virtù di ciò, imponendosi come ceto dirigente e indicando modelli e indirizzi culturali, dall’altro vi era un meridione frammentato politicamente, culturalmente e confessionalmente in cui ogni dominatore, bizantino, longobardo e musulmano,si fece portatore di una civiltà ben definita e ben radicata sul territorio. Si trattava di società superiori per organizzazione politica, economia, tradizione e cultura a quella normanna perciò la conquista sortì l’effetto di assimilare il nuovo ceto dirigente a tali modelli che apparirono molto vantaggiosi ed efficaci anche per gli invasori stranieri. La citazione di Oraziana memoria “Graecia capta ferum victorem cepit” sembra poter essere un’utile chiave di lettura anche per descrivere il peculiare esito della vicenda normanna in Italia meridionale. L'idea di un’originalità essenziale caratterizzante l’instaurazione del potere normanno-svevo per ciò che concerne, ad esempio, la Calabria pare essere riconfermata. Tuttigli aspetti della vita del nuovo stato paiono essere profondamente influenzati daun background culturale troppo forte e stratificato all’interno della società localeper passare inosservato. E, in effetti, si è visto come anche l’introduzione del feudalesimo non corrispose direttamente alla traslazione di un modello autoctono ai conquistatori in un ambiente totalmente estraneo a un simile tipo d’impianto sociale, ma che questo risentì in modo decisivo del peso di consuetudini e istituzioni preesistenti che ne alterarono la struttura originaria producendo un sistema feudale che nulla aveva a che fare con quello francese. Marc Bloch lo avrebbe definito d’importazione. Un simile discorso può essere esteso a tutti i rami dell’amministrazione del regno e soprattutto alla cultura, dove quest’aspetto è stato ampiamente dimostrato attraverso l’analisi dell’architettura sacra e profana, del cerimoniale di corte e del carattere ambiguo tenuto dai normanni nel processo di latinizzazione delle strutture religiose e sociali, mai realmente imposto come indirizzo univoco da seguire ma cooptato in modo non violento secondo quei principi dell’acculturazione dolce che influenzarono, al contrario, anche gli stessi dominatori. Si è anche visto come il carattere “fluttuante” della cultura e questa impossibilità di individuare elementi autenticamente autoctoni dei normanni trova una sua parziale conferma anche nei modi di strutturazione della geografia urbana e nell’organizzazione del sistema difensivo della Calabria: se è pur vero che alcuni centri furono rifondati, traslati in altra sede o riqualificati e se è altrettanto evidente che nell’allestimento delle difese furono introdotti alcuni elementi di novità, si pensi ai già analizzati castella, bisogna rilevare, in virtù di quanto dimostrato, che sostanzialmente la monarchia normanno-sveva ripresentò alcuni schemi e alcune dinamiche di consolidata tradizione bizantina non apportando decisive modifiche rispetto ai luoghi del potere e del controllo militare. L’analisi della porzione centrale della Calabria ha permesso di far luce sulla strategica funzione svolta da quest’area nel complesso della dinamica della conquista della regione e il suo valore geopolitico è stato dimostrato attraverso una serie di aspetti fondamentali: primo fra tutti la sua centralità durante le prime fasi del dominio normanno comprovata dalla corrispondenza di parte di questo territorio con la provincia miletana e con la città di Mileto, prima vera capitale de facto del potentato normanno e fulcro dell’azione del Granconte. La ricchezza di centri urbani di una certa rilevanza e le crescenti prerogative istituzionali accordate a esse dalla monarchia normanno-sveva possono essere assunte a nuova prova di questo stato di cose: si pensi a Cosenza, addirittura sede della curia regia in età federiciana, Catanzaro, capofila di un territorio destinato a divenire una potentissima signoria feudale sotto i Ruffo, la già citata Mileto, e poi Nicastro, Crotone, Monteleone e Santa Severina tutti centri importanti e strategicamente rilevanti ai fini del controllo territoriale. Il carattere del tutto peculiare della dominazione in Calabria viene a divenire indicativo nel momento in cui la regione, con la fondazione del Regnum, sembra scivolare in una condizione di subalternità politica rispetto alla Sicilia e, venendo a mancare la presenza fisica delle istituzioni, divenne il luogo privilegiato d’attecchimento di una ostinata e antagonistica, in senso crociano, feudalità, sempre più reticente nei confronti di un governo centrale distante e distratto da altri affari e che molto spesso individuerà in quella nobiltà, in quei baroni in costante ricerca di grossi spazi d’autonomia, gli interlocutori privilegiati ai quali demandare le funzioni amministrative. La storia della Calabria in questa fase si può leggere alla luce della storia della feudalità locale e delle cospirazioni che essa produsse nei riguardi del governo. In questo senso il peso politico della regione può essere misurato anche alla luce del peso specifico che le sue città ebbero nella situazione generale delle opposizioni al potere reale.